Il volume raccoglie tre raccolte di poesie scritte in un arco di tempo ultraventennale. Le accomuna il protagonista e il contesto, una Cina di una qualche remota dinastia. Pretesto per far emergere dal contingente della storia i temi eterni del sentire umano. Come scrive l’autore nella prefazione, «La storia, come vita della poesia, è fatta d’infiniti fallimenti che sempre si cerca d’evitare. Nessun tentativo è da disprezzare: la poesia è una cosa così grande e ammaliante che non può non essere oggetto di passioni convulse, abbagli, manie, allucinazioni, illusioni di raggiungerla con mezzi facili, aiuti esterni, espedienti e scorciatoie. Anche la mia può essere stata qualcosa di simile, certo, ma dico una cosa sicura: ha affrontato, pagandone il costo, il problema senza cercare camuffamenti, giochi, schemi, metodi, sistemi, dichiarando che la composizione poetica ha scaturigini solo in ciò che ditta dentro.»
Carlo Lapucci vive a Firenze, dove fin da giovane i suoi interessi si sono articolati nel campo della letteratura e della critica e quindi nella linguistica e nelle tradizioni popolari. Esordisce nel 1960 con una scelta di poesie presentata da Nicola Lisi su L’Approdo letterario e sempre sulla stessa rivista seguì, nel 1962, una silloge presentata stavolta da Mario Luzi. Da allora Lapucci ha prodotto una serie di libri che formano una bibliografia impressionante: romanzi, saggi, dizionari, testi teatrali, ecc. affermandosi quale indiscussa autorità nel campo del folclore e della cultura popolare. Ma non ha mai dimenticato il primo amore per la poesia, fornendo nel corso degli anni prove che lo collocano tra le voci più alte della lirica contemporanea.